Dunque il candidato Giachetti è debole. Ed ecco qua e là affiorare in suo soccorso le prime movimentazioni politiche, palesi o sottotraccia che siano. Quelle obbligate, provenienti da saloni, salotti e sottoscala governativi. Quelle scontate, orchestrate da un’informazione conformista e cortigiana. Quelle impigrite, motivate dalla pavida rassegnazione al meno peggio. Quelle interessate, giustificate dal timore di dover rinunciare a prebende e linee di finanziamento. Quelle malintese, prigioniere di un’appartenenza politica ormai completamente svanita. E infine quelle (per così dire) di convenienza, dettate dall’ansia di ritrovarsi nudi e crudi, sguarniti e indifesi.
Non stiamo qui a stupirci se l’esteso sottobosco di notabili, faccendieri e guardaspalle si sentano impegnati a salvaguardare se stessi e gli assetti di potere che li nutrono. O se l’indistruttibile trama politica centrista preferisca rivolgersi al bischero rampante, piuttosto che al cavaliere cadente o, ancor peggio, agli stellati emergenti.
Ma se a soccorrere il candidato di Matteo Renzi ritroviamo anche chi dovrebbe al contrario contrastarlo, allora un po’ di stupore dobbiamo pur ammetterlo. Con amarezza e dispiacere, oltreché con quel disperante rammarico che come una dannazione emerge tutte le volte che solo si profila un’unità delle sinistre. Che è esattamente quel che a Roma si sta provando a realizzare. Così come a Torino, Trieste, Bologna, Napoli, Ravenna e in diverse altre città. Tra tormenti e fatiche.
Si possono capire diffidenze e incredulità. Si può capire quanto possa apparire ancora parziale e di sicuro imperfetto. Ma è tuttavia un processo in atto, che come prima tappa (prima, non ultima) ha scelto di misurarsi con le elezioni comunali. Sta insomma per comporsi una lista unica della sinistra, che ambisce a governare Roma in alternativa alle destre, al movimento cinquestelle, al Pd e a chiunque altro. Un progetto autonomo, dunque, che recide definitivamente i legami parassitari del recente passato.
Come tutti e ciascuno, Stefano Fassina a Roma si segnala per qualità e limiti. Ma un merito gli va indiscutibilmente riconosciuto. E’ riuscito a tenere insieme quel che da anni insieme non stava più. Partiti, forze sociali, movimenti, soggettività, intenti e stati d’animo. Si è di fatto autocandidato, è vero. Ma paradossalmente ha consentito un’aggregazione politica, che, se lasciata alle solitudini dei tavoli di confronto o agli esiti di irrealistici processi partecipativi, non avrebbe fatto neanche un passo. Intorno a lui s’è insomma creato un embrione di quel che potrebbe diventare un’esperienza nuova della sinistra romana. Ancora insufficiente, non del tutto definita, forse manchevole nella sua impronta culturale. Ma tuttavia viva, vitale e desiderosa d’incamminarsi verso prospettive promettenti.
Ecco perché i tentativi di incrinarne il percorso e offuscarne il senso appaiono insensati e anche un po’ meschini. Avanzare nuove candidature a sinistra, riesumare figure inaffidabili, alludere a improponibili scappatoie arancioni non solo indebolisce il progetto unitario e disorienta l’elettorato, ma trasmette quella disperante sensazione di una sinistra patologicamente divisa e inconcludente. Va da sé che tale sensazione non può che suscitare ulteriore disincanto. A beneficio di altri: per esempio, del Pd renziano del renziano Giachetti.
Ma come sappiamo la strada dell’unità delle sinistre è lastricata di agguati e di insidie. C’è solo da percorrerla con il respiro profondo e lo sguardo lungo, sperando che non se ne aprano altre, tanto malintese quanto ingannevoli.