La tragedia irachena. Quale risposta dalla società civile e dalle donne.

Mercoledì, 29 Aprile 2015 07:17

Nota di presentazione di Vittorio Sartogo


Nei video qui raccolti è raccontato l’ascolto, avvenuto in Roma dal 20 al 23 aprile 2015, di una delegazione di donne e studiosi iracheni, invitati dall’Associazione di amicizia Italia-Iraq. L’Iraq agli iracheni, fondata e presieduta da Giovanni Franzoni.


Il 20 aprile si è svolta la Conferenza stampa di presentazione del seminario


Il 21 aprile è iniziato alla Camera dei deputati il seminario “La tragedia irachena. Quale risposta dalla società civile e dalle donne” (visualizza il Programma)


Il giorno successivo 22 aprile alla Casa internazionale delle donne di via della Lungara 19 il seminario è proseguito con le altre due sessioni dei lavori


Il 23 aprile una parte degli ospiti iracheni ha incontrato i rappresentanti degli Uffici internazionali della Fiom e della Cgil.


Nel programma sono indicati, sommariamente, i profili delle donne e degli studiosi iracheni: Hanaa’ Edwar, Afyan Rahim Ali,  Hadla Omar figure femminili di spicco nella resistenza irachena e curda, impegnate per l’uguaglianza politica e sociale e per la liberazione delle donne; Rashid Al Khayun, Haider Said noti nel mondo arabo per la loro conoscenza della storia, della cultura e delle religioni del Medio Oriente; Adnan Hussein giornalista fondatore e presidente del sindacato nazionale dei giornalisti iracheni. Nella prima giornata del seminario è intervenuto anche l’Ambasciatore dell’Iraq presso la Santa Sede.


La motivazione principale dell’invito rivolto alle donne e alla cultura irachena perché venissero in Italia a far sentire la loro voce è nata dall’appello "L’iniziativa degli intellettuali iracheni per l’unità dell’Iraq" al mondo occidentale, sottoscritto da loro e da tanti intellettuali politici e religiosi arabi (visualizza l'appello versione in italiano - versione in inglese) per contribuire al superamento della  terribile e devastante situazione  del loro Paese e affinché  possa costruirsi un Iraq democratico e plurale, rispettoso delle diversità in esso presenti. La presa di contatto diretta con chi vive quotidianamente in quella situazione  è stata ritenuta importantissima anche per comprendere meglio la funesta affermazione dell’Isis  (Daesh). L’iraq agli iracheni significativamente si appella l’Associazione invitante.


Il quadro delineato nei video è particolarmente complesso sia per la differenza dei punti di vista sia perché è aperto un periodo difficile di transizione  le cui traiettorie debbono tener conto di una pluralità di fenomeni religiosi, culturali, geopolitici, del peso delle tradizioni, della presenza di differenti comunità, dell’enigmatico rapporto tra Occidente e Medio Oriente. Qui si segnalano solo alcuni punti salienti.


1 - La condizione delle donne è veramente gravissima: i dati ascoltabili nei video sono impressionanti – traffico di donne e di bambine, mutilazioni e violenze sessuali, analfabetismo, numero delle vedove, delle sfollate, suicidi -, come durissima è la lotta per ottenere un minimo di protezione e per poter cambiare la Costituzione (specie l’art. 41) onde avere un appiglio giuridico valido. Vi è una lunga tradizione di lotta delle donne in Iraq e nell’area Kurda a nord, che era riuscita a ottenere una posizione migliore nella società, ma dal 1991 con la dittatura di Saddam e poi con la guerra del 2003 via via quei diritti aspramente conquistati sono stati cancellati. Si è sottolineata l’esistenza di una storia nascosta delle donne, essendo dominante la storia scritta dagli uomini che nega in radice i valori femminili, che nega la centrale funzione sociale della donna, con la conseguenza, per essa, di una vita quotidiana drammatica e, troppo spesso, orribile. Se la donna non è libera non è libera la società e in questo senso la lotta delle donne ha un valore universale, di giustizia e pace. Il 10 e 11 maggio prossimi si terrà a Irbil un Forum internazionale delle donne per affrontare il terrorismo. Un appuntamento di grande rilievo, non solo per tutta l’area araba e mediterranea.


2 - L’Iraq è il campo di battaglia di potenze straniere (confinanti e non), un’area strategica per il grande gioco geopolitico mondiale cui si intrecciano i conflitti tra componenti  etniche, religiose, settarie presenti all’interno dello stato. Il tema dell’identità stessa dell’Iraq è in discussione, e costruzione, non potendo essere che plurale, se auspicabile momento di coesione sociale e unità politica. Attualmente non è così con pesanti lacerazioni nel tessuto della società civile, non facilmente componibili anche se nel passato si era raggiunto un miglior equilibrio o, comunque, i conflitti non avevano  il grado esplosivo attuale. In questo contesto il confronto, nel seminario,  è stato vivace sul delicatissimo tema dei rapporti tra Medio Oriente e Occidente ed anche sul giudizio riguardante la guerra del 2003. Né liberazione né invasione, ma cambiamento sembra il punto provvisorio di approdo del giudizio da parte degli ospiti iracheni. Comprensibile se si pensa alla ferocia della dittatura di Saddam, di cui erano vittime alcuni dei presenti.


3 - Ciò non ha impedito di porre con lucidità il tema del fallimento dell’obiettivo politico dello Stato Nazione, concetto europeo inapplicabile in un contesto di così acute differenze come il Medio Oriente. e di cui il tormentato Iraq ne è esempio evidente. La possibile rinascita araba e irachena deve poter trovare una sua propria strada facendo perno sui quei valori universali (libertà, uguaglianza, giustizia, democrazia, pace) che seppure concepiti in Occidente tanto spesso proprio l’Occidente tradisce. Più volte l’analisi è ritornata sulla storia millenaria dell’Iraq, culla dell’umanità e della cultura. Con ciò sottolineando l’importanza del “fattore interno” . sia pure in un contesto di interdipendenza con l’aiuto  internazionale richiesto. Un punto cruciale si è rivelato lo stato disastroso dell’informazione su cui operano tabù pesantissimi. Religione, sessualità e politica governativa sono argomenti  che è impossibile affrontare nel dibattito pubblico.


4 - l’Isis è visto come necessaria conseguenza di questa situazione: frutto del fallimento politico dello stato-nazione, alimentato dalla paura dell’opinione pubblica nei confronti di Arabia saudita, Turchia e soprattutto Iran,  nonché dalle condizioni strazianti dei conflitti. Interessante, perché non corrente, è l’accenno al comportarsi dell’Isis come un potere criminale che impone “taglie e pizzi” per finanziarsi (oltre ai possibili ma difficilmente documentabili apporti di Stati esteri) e alla presentazione di sé come superamento delle divisioni statali imposte dal colonialismo. Di qui anche la crescita di adesioni di volontari provenienti dal mondo occidentale. Non si tratta soltanto di immigrati magari di seconda o terza generazione, rispetto ai quali è restata inevasa la domanda di Franzoni se non ci sia da interrogarsi su una integrazione che non abolisce completamente il divario con chi li accoglie. Vi sono anche casi di occidentali che compiono questa scelta con tale convinzione da indurre ad analisi più approfondite sul fascino esercitato dal Califfato. Una delle notazioni di rilievo è certamente quella che indica nell’ideologia del Califfato un odio non tanto contro gli americani o gli occidentali, quanto verso il concetto stesso di modernità. Modernità vista e vissuta come responsabile  dello stravolgimento dei valori della tradizione, e conseguente alterazione dei riferimenti e delle coordinate essenziali di coesione delle comunità; come perdita di identità e di futuro. Da qui l’esito di arretratezza e inciviltà che caratterizza il dominio del Califfato  fondato su di un presunto ritorno al passato che non può non rivelarsi atroce . In mano all’Isis è ormai un terzo dell’Iraq e ciò ne dice l’estremo pericolo .


5 -  l’incontro con i rappresentanti degli Uffici internazionali di Cgil e Fiom ha posto in luce la debolezza delle struttura produttiva irachena incentrata sul settore statale e l’estrazione di petrolio. Per di più con la mancanza di una legge che regolamenti il lavoro. La richiesta di collaborazione affinché si formi una leva di sindacalisti iracheni di base ha messo in luce la mancanza di conoscenza adeguata dei contesti lavorativi, ovvero delle tecnologie, dei processi produttivi, delle condizioni  sociali ed economiche. L’impegno conclusivo è stato di rimanere in contatto per verificare la possibilità di pervenire a un progetto comune di formazione, sia pure in un ambito limitato, ma tale da poter essere considerato una buona pratica.

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